TOLKIEN'S WORK: CHRISTIAN OR PAGAN?

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Review to:

TOLKIEN STUDIES X (2013) Ed. by Michael D.C. Drout, Verlyn Flieger, and David Bratman

By Croft, Janet Brennan

for Mythlore , Vol. 32, No. 2 (Article excerpt)

 

TOLKIEN STUDIES, The beautifully bound Hardback annual journal, has reached a milestone with its tenth issue. David Bratman has filled the gap left by the departure of Douglas A. Anderson last year, and Merlin DeTardo has taken over sole authorship of "The Year's Work in Tolkien Studies."

Claudio Testi's invaluable lead article, "Tolkien's Work: Is it Christian or Pagan? A Proposal for a 'Synthetic' Approach," discusses the arguments for Tolkien's legendarium as a Christian or pagan creation in a clear and logical manner, summarizing the views of a number of scholars on both sides of the issue. He then proposes a compelling argument for a synthetic view of Tolkien as "a Christian author sub-creating a non-Christian world that is in harmony with the Revelation" (10).

This article is well worth savoring for its clarity and logical organization and for its engagement with the whole of Tolkien's writing, both fiction and scholarship, in support of its conclusions.

I found Testi's examination of Beowulf, the Northern ethics of courage, and heroism in support of his arguments particularly interesting.

 

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RECENSIONE DI John Wm. Houghton (Tolkien Studies XIII pp.267-270). Traduzione di Alberto Ladavas

 

Tre dei saggi pubblicati quest’anno analizzano Tolkien come scrittore cattolico. Il primo di questo trio, “Tolkien’s Work: Is It Christian or Pagan? A Proposal for a ‘Synthetic’ Approach” (Tolkien Studies n. 10: pp. 1-47) di Claudio A. Testi, dovrebbe essere letto assolutamente, se non altro per l’imparzialità con cui la sua prima parte demolisce le posizioni estremiste cristiane e pagane senza demonizzarle entrambe. Seguendo una logica inesorabile (la sezione 5 si ramifica su due livelli di suddivisioni numerate) il saggio realizza una valida sintesi radicata, in ultima analisi, nella distinzione tra natura e grazia elaborata da Tommaso d’Aquino.

Testi afferma che sostenere che Tolkien abbia creato un mondo «che contenga intenzionalmente espliciti ed esclusivi elementi cristiani» presenta cinque problemi (seguo lo schema numerato di Testi):

 

2.1 - si viola il “rasoio di Tolkien”, ossia la sua osservazione che il ciclo arturiano fallisce perché «contiene esplicitamente la religione cristiana» (Lettere n. 144) e altre affermazioni congruenti;

2.2 - «si confonde applicabilità con allegoria e si teorizza significati nascosti» violando ancora le opinioni espresse da Tolkien;

2.3 - «si confonde una fonte con una rappresentazione»: ad esempio, si può osservare correttamente che alcuni aspetti della Vergine Maria sono permeati nella concezione che Tolkien aveva di Galadriel, ma si conclude erroneamente che la seconda rappresenti la prima benché ci siano delle ragioni convincenti che non sia così;

2.4 - «da una similitudine parziale si deduce un’identità totale» come, ad esempio, considerare l’Ainulindalë come se non avesse altri paragoni oltre alla Bibbia e non differisse per importanti aspetti dal racconto della Creazione nella Genesi.

2.5 - «si riduce la vastità della prospettiva tolkieniana»: infatti, oltre ai suoi obblighi religiosi, tra gli interessi e le esperienze di Tolkien vi furono altri elementi che contribuirono alla “minestra” della sua storia, ad esempio il suo amore per le leggende del nord. Utilizzare i suoi legami religiosi come l’unica, o la principale, lente attraverso cui interpretare i suoi libri significa ignorare o svalutare i contributi di tutte le altre fonti.

 

Testi osserva che le argomentazioni contro la posizione “Tolkien pagano” sono «quasi simmetriche» a quelle contro l’interpretazione cristiana:

 

3.1 - «riduce l’importanza dei testi in cui emerge il legame fondamentale tra le opere di Tolkien e il Cristianesimo», come ad esempio l’epilogo di “Sulle fiabe”;

3.2 - «considera alcuni elementi delle opere di Tolkien incompatibili con la Rivelazione cristiana, quando in realtà non lo sono»;

3.3 - «deriva contraddizioni inconciliabili tra il mondo di Tolkien e quello cristiano da differenze solamente parziali»: ad esempio, la reincarnazione degli Elfi nel mondo fantastico non rende quest’ultimo inconciliabile con il mondo reale perché, dopotutto, gli Elfi non sono reali.

3.4 - «confonde paganesimo storico e paganesimo “tolkieniano”»: tra le molte differenze Testi nota che i pagani di Tolkien non praticano sacrifici umani benché, come osserva più avanti, ciò è strettamente vero solo per la Terra-di-mezzo; l’Akallabêth, infatti, raffigura Sauron che sacrifica i Fedeli nel Tempio di Melkor in Númenor.

3.5 - «riduce la vastità della prospettiva tolkieniana».

 

Testi inizia la parte costruttiva del saggio facendo un paio di distinzioni: da un lato quella tra il punto di vista interno e quello esterno del mito, e dall’altro quella tra il piano della Natura e il piano della Grazia. In questa seconda distinzione, radicata nel pensiero di Tommaso d’Aquino, il piano della Natura tratta le «intrinseche capacità» degli «esseri razionali», mentre il piano della Grazia tratta gli elementi della «Rivelazione giudaico-cristiana che sarebbero impossibili da raggiungere con le sole capacità naturali». Il mondo di Tolkien, quindi, opera internamente sul piano della Natura dove «le conoscenze, le scelte, e le opere che fanno i suoi personaggi sono frutto delle loro capacità naturali, senza alcun riferimento esplicito a contenuti di Fede. Per questo motivosi deve dire che siamo di fronte a un’opera priva di elementi essenzialmente cristiani, e dunque pagana, in cui Dio è “immensamente remoto”». Tuttavia, esternamente il mondo è in armonia col piano della Grazia e della Rivelazione cristiana, epoiché il libro combina questi elementi  «si può considerare l’opera tolkieniana come manifestazione di una cultura fondamentalmente cattolica». Testi riconosce che questa analisi ha qualcosa in comune con quelle di alcuni studiosi (ad esempio Tom Shippey e John Holmes) che vedono la condizione del mondo di Tolkien come una preparazione al Vangelo, ma essa evita ciò che egli vede come una debolezza cronologica di questa posizione, ossia che il Legendarium non è collocato in modo inequivocabile nella primitiva storia del nostro mondo.

La lunga sezione5 applica in dettaglio le idee esposte nella sezione 4, dapprima esaminando nella sezione 5.1 le opere “Sulle fiabe”, “Mythopoeia”, “Beowulf: mostri e critici”, “Il ritorno di Beorhtnoth figlio di Beorhthelm” e Sir Gawain e il Cavaliere Verde, e poi affrontando nella sezione 5.2 diversi aspetti del Legendarium (teologia, culti religiosi, filosofia della storia ed etica) dimostrando per ognuno di essi che la sub-creazione di Tolkien è differente dalla rivelazione cristiana, benché sia in armonia con essa. Nel primo caso, ad esempio, Testi afferma che il mito non contiene idee che vadano oltre i limiti della teologia naturale: esso ha l’unità di Dio, su cui la filosofia può ragionare, ma non ha la dottrina della Trinità che può essere conosciuta solo per rivelazione. Questa teologia naturale non è identica a quella dei pagani reali del mondo primario, poiché il monoteismo è un fatto noto in Arda ma per noi è semplicemente una logica conclusione. Tuttavia, questa e altre simili differenze non sono sufficienti a renderlo non conciliabile con il pensiero cristiano.

Infine, nella sezione 6, Testi arriva ad affermare la sua idea: tutto quanto sopra esposto rende fondamentalmente cattolica la creazione di Tolkien. La sua definizione di “cattolico” parte dalla distinzione Natura/Grazia: mentre Lutero e altri pensatori della Riforma protestante, insistendo sull’esclusivo ruolo della Grazia, hanno affermato che nulla fatto nel piano della Natura può ottenere la salvezza, e che quindi non vi è alcuna speranza per l’archetipico “pagano virtuoso”, i pensatori cattolici hanno affermato che quando una persona ha rifiutato la Grazia senza colpa e vive in accordo con i dettami della Natura, Dio garantisce comunque la salvezza. «L’essenza culturale del Cattolicesimo» giace quindi nell’idea di «reciproca armonia» tra Grazia e Natura. Di conseguenza, «la fondamentale cattolicità dell’opera di Tolkien non va rintracciata in elementi confessionali della sua Fede, ma paradossalmente nella peculiare non-cristianità del suo mondo, dove sono rappresentate le più autentiche tensioni etiche ed esistenziali dell’Uomo “semplicemente naturale”».