Recensione a
“L’anello e la Croce”, di Andrea Monda, Rubettino, 2008
COMMENTO. L’autore fa confluire in questo testo i migliori frutti di una trentennale meditazione su Il Signore degli Anelli, l’opera di Tolkien che meglio conosce e sulla quale ha maggiormente lavorato: con questo volume Monda si conferma così tra i massimi studiosi di Tolkien in Italia. Come dice il sottotitolo, egli cerca qui di illustrare il “significato teologico de Il Signore degli Anelli” e vi riesce senza mai scadere nell’apologetica, nel moralismo e in quelle letture “simboliche” che vedono in ogni parte e elemento del romanzo un rimando a qualcosa di esterno (il che distrugge la profonda e intima struttura del racconto medesimo).
PREGI. Il pregio maggiore del libro è la brillantissima lettura che Monda offre degli Hobbit, da lui considerati i “veri protagonisti del romanzo” (Cap. 5) e la più originale ‘invenzione’ letteraria di Tolkien, lettura che occupa gran parte delle pagine del libro, segno del grande amore dell’autore verso questi personaggi. In questi Monda vede (anche basandosi su alcune lettere di Tolkien) la personificazione ‘mitica’ dei poveri delle beatitudini evangeliche, che non vanno identificati con gli indigenti bensì con i semplici capaci di ascoltare attentamente le parole dei più saggi senza frapporre preconcetti attraverso cui ‘filtrare’ (distorcendola) la realtà che ci circonda (p. 91 sgg). Vi sono altresì molti spunti interessanti e dei paralleli abbastanza “inediti”, che per motivi di tempo non posso che sommariamente elencare:
- il paragone tra Tolkien e Manzoni, sia per l’espediente del Manoscritto che per l’attenzione ai semplici (p. 85)
- il parallelo tra la Bibbia e il Signore degli Anelli, come testi che insegnano verità profonde tramite l’espediente dello story telling e non per mezzo di astratte e fredde elaborazioni morali (p. 61 sgg): a supporto l’autore cita anche una lettera di Priscilla Tolkien a lui indirizzata;
- l’analogia tra Gandalf e S.Paolo, entrambi viaggiatori e instancabili animatori spirituali (p. 158);
- il paragone tra la trasfigurazione di Gesù e la prima apparizione di Gandalf il Bianco (p. 162)
- una bella riflessione sull’importanza del libero arbitrio e la così detta “opzione fondamentale”, sia all’interno del romanzo che al suo esterno (nel senso che chi scrive un romanzo è egli stesso libero di farlo terminare come vuole (p. 208 sgg.)
Particolarmente pregevole poi la conclusione, nella quale Monda illustra (anche basandosi sulla sua esperienza personale di insegnante di religione cattolica nelle scuole statali) l’uso del Lord of the Rings come mezzo per una “praeparatio evangelii” in un contesto ove la grande difficoltà è carpire l’attenzione dei più giovani, privi ormai di qualsiasi stabile riferimento esistenziale.
LIMITI. Il maggior limite, se così volgiamo chiamarlo, dello studio è quello di non aver adeguatamente distinto gli aggettivi “cristiano” e “cattolico”. Alle volte infatti Monda, dopo aver trovato un corretto legame tra Il Signore degli Anelli e il messaggio cristiano, ne inferisce poi l’implicito cattolicesimo, ma questo non è sempre “necessario”: non tutti i cristiani sono cattolici (per dirla sillogisticamente). Un esempio tra i tanti è a p. 116, quando proprio a proposito di Frodo come Alter Christus ne inferisce il suo significato cristiano e cattolico (mentre questo aspetto sarebbe condivisibile anche da un protestante). A opinione dello scrivente, quello che è il senso propriamente cattolico dell’opera di Tolkien è infatti il legame tra storia-immaginazione-verità e l’aver saputo ricollocare entro la verità cristiana quanto di “vero” era presente nelle precedenti culture nordiche pagane: e questo Monda non manca di sottolinearlo, citando in proposito le bellissime parole di Chesterton (pp. 37, 148, 226).